L’Origine et le Antichità di Lione

Gabriele Simeo­ni, L’Origine et le anti­chi­tà di Lione, 1559

A. 24, l. 17 (36 aper­to), sp. 3 cm ; 100 fogli nume­ra­ti ; lega­tu­ra pari­gia­na, Tori­no, Archi­vio di sta­to, MS J.A.X. 16

Il manos­crit­to fu offer­to dal Simeo­ni al suo des­ti­na­ta­rio, Ema­nuele Fili­ber­to di Savoia, per le sur nozze con Mar­ghe­ri­ta di Valois, sorel­la del rè Enri­co II, alla fine del mese di giu­gno 1559. Simeo­ni era già inter­es­sa­to dalle anti­chi­tà di Lione pri­ma del 1557, cosic­ché il pro­get­to di dedi­care loro un libro è in nuce nell’Illus­tra­tione. Ma il pro­po­si­to del manos­crit­to è più stret­ta­mente archeo­lo­gi­co. L’impostazione non è tema­ti­ca e ricor­da quel­la del Mar­lia­ni di cui la Topo­gra­phia Urbis Romae, stam­pa­ta nel 1534 a Lione e nel 1544 a Roma, incon­trò grande suc­ces­so. Il meto­do del Simeo­ni si ispi­ra com­ple­ta­mente a quel­lo dei libri del Du Choul dove sono pre­li­mi­nar­mente ricor­da­ti il luo­go e la mate­ria del monu­men­to, che è rap­pre­sen­ta­to da un’incisione poi cor­re­da­ta di un com­men­to dell’autore : ques­ta strut­tu­ra tri­par­ti­ta ricor­da quel­la dell’emblema, genere allo­ra in voga a Lione, e cor­ris­ponde al « capi­to­la­to d’oneri » dell’accademia Vitru­via­na, come l’aveva defi­ni­to, nel 1542, il senese Clau­dio Tolo­mei in una let­te­ra al conte Agos­ti­no de’ Landi.

L’Origine et le anti­chi­tà di Lione, tut­ta­via, è anche, ris­pet­to a Du Choul, l’atto eman­ci­pa­tore di Simeo­ni che aspi­ra ad essere un autore esper­to in scienze anti­qua­rie e non più un sem­plice tra­dut­tore. Dopo aver dimos­tra­to l’alta anti­chi­tà di Lione, convo­can­do in par­ti­co­lare gli scrit­ti apo­cri­fi d’Annio di Viter­bo, e dopo aver così affer­ma­to la sua nobil­tà e ma sua eccel­len­za fra le cit­tà del reame, Simeo­ni, in un secon­do tem­po, pro­cede alla des­cri­zione delle anti­chi­tà lio­ne­si nel cor­so di una pas­seg­gia­ta archeo­lo­gi­ca in tut­ta Lione : par­ten­do da Saint-Mar­tin d’Ainay, ubi­ca­zione pre­sun­ta del san­tua­rio delle Tre Gal­lie, la pas­seg­gia­ta archeo­lo­gi­ca pas­sa per l’isola Bar­ba, pre­sen­ta­ta come un anti­co san­tua­rio di Bac­co, pri­ma di conclu­der­si mol­to sim­bo­li­ca­mente a For­vie­ra, davan­ti a rovine iden­ti­fi­cate come un tem­pio di Mer­cu­rio, patro­no di Lug­du­num secon­do il Fiorentino.

Pos­tu­lan­do il pri­ma­to del­la cosa vis­ta, Simeo­ni si impone come un osser­va­tore scru­pu­lo­so. I suoi rilie­vi epi­gra­fi­ci sono cor­ret­ti ed è il pri­mo a col­lo­care bene l’anfiteatro, rimet­ten­do in dis­cus­sione le leg­gende antiche che lo iden­ti­fi­ca­va­no nell’odeon a For­vie­ra. L’approccio empi­ri­co del Simeo­ni lo invi­ta ad intra­pren­dere sca­vi, a lan­ciar­si in espe­ri­men­ti sul­lo smal­to delle monete antiche e quan­do l’osservazione non bas­ta più, ricorre all’analogia con la cit­tà di Roma. Il suo occhio di anti­qua­rio lo spinge a consi­de­rare le opere del Medio Evo, ma il cui stile o ico­no­gra­fia ricor­da­no la tra­di­zione clas­si­ca : di fronte a un bas­so­ri­lie­vo medie­vale sull’isola Bar­ba, rico­nosce uno Spi­na­rio che egli ridi­se­gna come scul­tu­ra a tut­to ton­do. Il manos­crit­to è illus­tra­to da dise­gni del­la sua mano dove mos­tra tut­ta la com­pe­ten­za e segna una pre­di­le­zione mol­to fio­ren­ti­na per la rap­pre­sen­tan­za del­la figu­ra uma­na nuda.